Quando lavoriamo attorno a una knowledge base, dobbiamo tenere conto della conoscenza tacita: quella definita in un articolo comparso su New Scientist da Harry Collins come conoscenza che non è stata resa esplicita e talvolta non può esserlo.
Collins definisce tre tipi di conoscenza tacita: somatica, relazionale e collettiva.
La conoscenza tacita somatica
È quella presente nei corpi: muscoli, sistema nervoso, connessioni sinaptiche. In teoria possiamo descriverla, a livello scientifico se non altro, ma rimane di poco uso pratico. Sentiamo Collins:
In principio, se non in pratica, la scienza potrebbe descriverla tutta. Comunque non potrebbe guidare le nostre azioni, perché funzioniamo in un altro modo.
Il significato di queste parole è che potremmo apprendere da un libro come si cucina, o come si gioca a basket, o come si guida un aereo. Tuttavia, senza l’esperienza corporea, non diventeremmo cuochi, né cestisti, né piloti. La conoscenza tacita somatica non si trasmette attraverso il linguaggio.
La conoscenza tacita relazionale
Riguarda le interazioni sociali e le dinamiche per cui rimane inespressa. È conoscenza che potremmo esprimere ma, per qualunque motivo, non lo facciamo. Potrebbero essere segreti scomodi; oppure cose che abbiamo appreso ma non sappiamo di conoscere; o ancora, cose che non esprimiamo in quanto non sappiamo che l’interlocutore ha bisogno di conoscerle. Se un knowledge manager può fare poco rispetto alla conoscenza tacita somatica, può invece impegnarsi su quella relazionale. Siccome rimane inespressa per ragioni sociali, può lavorare per attraversare queste barriere e recuperarla.
La conoscenza tacita collettiva
Sappiamo andare in bicicletta? È conoscenza tacita somatica. Sappiamo andare in bicicletta per la nostra città? È conoscenza tacita collettiva. Lo possiamo fare perché tutti nella nostra città condividono un sapere concreto ancorché inespresso; nessuno ci informa dal marciapiede come comportarci a uno stop o a chi dare la precedenza. Dinamiche simili si vedono ogni giorno in ufficio. Dalla macchina del caffè alle apparecchiature delle sale riunioni, fino ai server condivisi in rete, l’azienda detiene una conoscenza collettiva inespressa. Riflettere su come si propaghi questa conoscenza collettiva è un ottimo esercizio per un knowledge manager, perché suggerisce anche le azioni giuste per portarla alla luce e formalizzarla.
Il valore della conoscenza tacita
Certamente esiste conoscenza non esplicita, che merita di rimanerlo, o che resta tale per forza di cose. Altre volte la conoscenza tacita, se rivelata, può portare valore. Il ruolo del knowledge manager è individuare la conoscenza tacita che vale e mettere a punto gli strumenti per farla emergere.
Articoli recenti
- Esperienza utenti omnicanale: come stanno lavorando le aziende in Italia?
- Aumentare la produttività in pochi e semplici step
- Come ottimizzare un gestionale clienti
- Qual è la differenza tra Knowledge Base e Database
- Come funzionano i chatbot online?
- Work engagement: cos’è e perché è importante in azienda?
- Intelligenza Artificiale in azienda: senza Data Quality i progetti rischiano di fallire